“L’uomo, nato per vivere sulla terra, lotta fin dall’inizio, con il suo sano istinto animale, contro la sua anima e i demoni che vi albergano. Se l’anima fosse inequivocabilmente oscura, la cosa sarebbe facile… (C. G. Jung, 2004). @sosostetricaoff” quote=”“L’uomo, nato per vivere sulla terra, lotta fin dall’inizio, con il suo sano istinto animale, contro la sua anima e i demoni che vi albergano. Se l’anima fosse inequivocabilmente oscura, la cosa sarebbe facile, ma purtroppo non è così, perché la stessa Anima può apparire anche come angelo di luce.” (C. G. Jung, 2004).”
Poche settimane fa si consumava una tragedia di cui in molti avrete sentito parlare:
Federica Ziliotto, 42 anni, uccide la figlia di pochi giorni scaraventandola a terra e poi tenta il suicidio.
In questa settimana si è scritto e detto tantissimo su questa vicenda: c’è chi sfoga tutta la propria rabbia dicendo che “certe donne, anzi, certi mostri, non dovrebbero avere figli e dovrebbero essere rinchiuse”, c’è chi incolpa la società sostenendo che le puerpere non possono e non devono essere lasciate sole, che serve sostegno e informazione, c’è poi chi (tentando una mediazione tra le due posizioni opposte) dichiara compassione per una mamma che certamente si è sentita sola e senza via d’uscita ma che, altrettanto certamente, “non stava bene”, “aveva qualcosa già prima”.
Quello che mi colpisce di queste posizioni e che mi ha convinto a dire la mia è che, in un modo o nell’altro, sono tutte alla caccia di un colpevole cui addossare la responsabilità per questo fatto increscioso;
delle due l’una: o viviamo in una società barbara, che abbandona le madri in balìa di se stesse e non offre i sostegni adeguati o lei era semplicemente “pazza”, semplicemente un “mostro”.
A ben pensare, la ricerca di un colpevole è un’attività quanto mai pacificante: da un lato essa spegne o smorza il fuoco della nostra rabbia di fronte ad un gesto tanto terribile, dall’altro fornisce a questa rabbia un oggetto chiaro e univoco, la indirizza insomma, ci consente di dire esattamente dove sta “il male”:il “male” è questa società malata ed individualista, il “male” è questa madre disumana.
Ma non finisce qui: l’individuazione di un “oggetto del male” ha anche e soprattutto una funzione catartica, ci permette di dire che il male sta altrove, fuori di noi, che non ci tocca, che non ci riguarda.
Trovare un colpevole, insomma, è allontanare il male da noi, come se si trattasse di qualcosa che accade agli altri e, al tempo stesso, dare un nome a qualcosa che sarebbe altrimenti indicibile, spaventoso.
Indicibile, sì, perché sembra impossibile anche solo pensare che maternità e violenza possano stare insieme nella stessa frase.
La maternità è il “lieto evento” per antonomasia, un figlio è necessariamente un “dono del cielo”, l’arrivo di un bambino, specie se cercato e desiderato, come sembra fosse per Federica, è accolto con gioia e serenità di spirito.
L’immagine stessa della maternità che rimandano i media è quella di un’esperienza tutta e solo positiva, tragicomica talvolta, ma mai violenta, mai oscura.
Eppure…eppure nella madre, o meglio, nell’archetipo del materno sono racchiusi tanto aspetti che rimandano alla cura amorevole, alla protezione, al nutrimento quanto aspetti che riconducono all’inglobamento, al possesso, all’angoscia, al divoramento.
Bene lo sapevano gli antichi che spesso raffiguravano la dea madre come una donna prosperosa che teneva in mano dei serpenti o addirittura come un serpente o un drago con il viso di donna.
Tenerezza e orrore, dolcezza e sensualità, delicatezza e materno, questo abita la madre, e riconoscere un unico aspetto a scapito dell’altro non è solo sminuirla, è negarne la complessità, è disconoscerla a favore di un’immagine socialmente accettabile, è farle violenza.
Eppure di questo aspetto oscuro, tenebroso non si parla, esso è naturale tanto quanto lo è la protezione verso i cuccioli ed è altrettanto primordiale e istintivo; qualunque madre ne ha percepito la forza distruttrice, qualunque madre ne ha lambito gli abissi quando, allo stremo delle forze, ha ninnato il suo piccolo con appena troppa veemenza, quando lo ha stretto un poco più forte, quando, vergognandosene, ha alzato la voce all’ennesimo pianto nel cuore della notte.
Qualunque madre ha familiarità con la violenza di questa sensazione, qualunque madre è insieme immensamente felice e profondamente triste all’idea che non sarà mai più sola, qualunque madre conosce la gioia della pienezza e il senso di soffocamento dato dal sentirsi posseduta, dal sentirsi aliena a se stessa (“Non ero io” ripete oggi Federica dalla stanza diospedale dove è piantonata dalle forze dell’ordine), qualunque madre sa quanto sia asfissiante e totalizzante il potere della creatura che dipende totalmente da lei e che, allo stesso tempo, la domina completamente.
Allo stesso modo, ogni madre sa bene che queste cose vanno taciute, che vanno ricacciate indietro con tutto il loro carico di orrore, ogni madre sa che queste sensazioni sono talmente vergognose e terribili da essere inaccettabili e talvolta persino impensabili.
Sì, perché che madre è una madre che pensi questo di suo figlio? Che figura fa agli occhi del mondo e di se stessa?
Eppure…eppure gli istinti sono immuni alla morale, se ne infischiano delle convenzioni e come esiste un istinto materno che nutre, protegge, cura così esiste un istinto autoconservativo che può renderci aggressivi (Valcarenghi, 2011) se pensiamo che questa sia la sola via d’uscita, come accade agli animali in gabbia.
Per quanto strano possa sembrare, entrambi gli istinti sono naturali ed entrambi sono tesi alla sopravvivenza, alla conservazione della vita.
Oggi, purtroppo, ad una sola parte di questo istinto –quella “luminosa, quella accettabile– è concessa cittadinanza, l’altra viene negata, allontanata nella speranza di cancellarne l’esistenza.
È questa sistematica rimozione della parte oscura che alberga in ciascuno di noi, di quella che la psicologia junghiana chiama Ombra, che la riporta a galla con inaudita violenza, è l’incapacità di accettare che il nostro peggior nemico vive dentro di noi che ci fa cercare sempre altrove, e, in ultima analisi, è l’impossibilità a fare pace con il nostro nemico che non ci fa essere interi.
Se senti il bisogno di parlare di questi tuoi vissuti e non sai con chi farlo o ti senti in colpa, consulta la nostra psicologa.